I FUOCHI DI SANT’ANTONIO ABATE – MAMOIADA – 16-17-18 GENNAIO 2016 Reviewed by admin on . Concluse le feste natalizie, il primo grande appuntamento dell'anno in Sardegna è per la festa dei fuochi di Sant'Antonio e San Sebastiano. Mamoiada è uno dei c Concluse le feste natalizie, il primo grande appuntamento dell'anno in Sardegna è per la festa dei fuochi di Sant'Antonio e San Sebastiano. Mamoiada è uno dei c Rating: 0

I FUOCHI DI SANT’ANTONIO ABATE – MAMOIADA – 16-17-18 GENNAIO 2016

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Concluse le feste natalizie, il primo grande appuntamento dell’anno in Sardegna è per la festa dei fuochi di Sant’Antonio e San Sebastiano.

Mamoiada è uno dei centri dove questa festa è particolarmente sentita e coincide con la prima uscita dei Mamutohones e l’inizio del Carnevale.

Mamoiada, custode dell’ancestrale memoria dei Mamuthones e degli Issohadores, celebra l’arrivo dell’anno nuovo con una festa dedicata a S. Antonio Abate o S.Antoni de su ohu. Ed ogni anno, come da tradizione, i Mamujadinos vivono questa ricorrenza perpetuando il rito del fuoco. Questa festa si articola in tre giornate: il 16 gennaio “Su pesperu”, la vigilia, il 17 gennaio

 

“S. Antoni” e il 18 gennaio “S.Antoneddu”. Il 16 gennaio, alla vigilia del giorno dedicato al santo, fervono i preparativi per questa cerimonia che coinvolge l’intero paese. La legna utilizzata per i fuochi proviene da antiche radici di alberi tagliati anni prima, spesso sugherete o roverelle. Nessun albero viene reciso per l’occasione proprio per non arrecare ulteriore danno all’ ambiente. I falò sono in genere 35-40 e sono disseminati per i rioni ma il primo fuoco viene benedetto dal prete di fronte alla chiesa e i fedeli recitano il Credo per tre volte girando intorno ad esso.

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Da quel fuoco madre ognuno ne prende un tizzone e tutti gli altri vengono accesi, illuminando Mamoiada anche nelle notti successive. Intorno a questi fuochi i mamoiadini si ritrovano per parlare, bere un bicchiere di buon vino rosso e gustare i dolci di S.Antonio. Il 17 gennaio, giorno di S.Antoni, rappresenta il culmine della festa perchĂ©, nel pomeriggio, i Mamuthones e gli Issohadores sfileranno per la prima volta. Questa tradizione venne interrotta durante l’ultima guerra e ripristinata, per iniziativa della Pro Loco, proprio trent’anni fa, nel 1984. La sfilata è preceduta dal suggestivo rito della vestizione durante il quale due Issohadores vestono un Mamuthone. A vestizione completata il Capo Issohadore dispone il gruppo e impartisce il ritmo della danza conducendolo attraverso un percorso tra i fuochi. Ogni fuoco viene benedetto dai Mamuthones e Issohadores che vi danzano intorno onorando della loro presenza gli abitanti del rione. Dopo l’attesa benedizione viene offerto loro del vino e dei dolci che, solo in seguito, verranno donati anche agli spettatori. Talvolta essi sostano di fronte all’abitazione di una persona che sta poco bene o di un amico scomparso e quando ciò accade si percepisce un’emozione profonda che solo la sacralitĂ  di un rito millenario può suscitare. Gran parte dei riti pagani sono stati assorbiti e trasformati dal Cristianesimo mentre in questo caso osserviamo un processo inverso, quasi una “paganizzazione” della festa cristiana che si svolge parallelamente. Questa festivitĂ  piĂą di ogni altra infatti, mette in luce la coesistenza di due mondi distinti, quello pagano e quello cristiano, che non si confondono ma, al contrario, il primo sembra condurre a sè il secondo.. Ciò testimonia la forza della tradizione, di un rito che ha attraversato ininterrottamente il tempo e la storia. I custodi del fuoco sacro che viene acceso a Mamoiada ne indossano anche i colori: il Mamuthone veste di nero come la fuliggine e come questa ritorna alla terra col suo passo pesante, mentre l’Issohadore porta un costume che ha il colore della fiamma viva e insieme a questa, va verso l’alto insieme alla sua soha. Come la Natura conosce morte e resurrezione allo stesso modo il clan scandiva il tempo della nascita e quello del declino annunciando l’urgenza di rinnovare la vita comunitaria attraverso i suoi culti agrari. Moriva così ciò che aveva fatto il suo tempo per favorire la comparsa di un tempo nuovo.

 

Una primavera sociale che era preannunciata da queste due figure che, al pari di due officianti, concelebrano annualmente il rinnovarsi di un ciclo vitale. Sono loro infatti, che indicano alla comunitĂ  che è giunto il Tempo, e la comunitĂ  risponde, prende parte, si unisce al corteo e si schernisce, si ritrae ma spera di essere presa al laccio da chi celebra la vita piuttosto che seguire le orme di chi, muto, sfila verso la fine. Al di lĂ  del ruolo interpretato, chi sta dietro la maschera sacrifica la propria identitĂ  per dar voce al Mamuthone o Issohadore che rappresenta. Tuttavia, non si può parlare di una totale perdita della propria identitĂ  individuale in favore di qualcosa di piĂą vasto quanto piuttosto di una fusione del proprio sĂ© con quello del ruolo interpretato. Si ha allora una amplificazione della persona che si espande grazie a quella Maschera che ne cela l’identitĂ  e che si perde e si ritrova all’interno dello stesso processo. Entra ed esce da sĂ© continuamente traendo una nuova forza da ciò di cui si fa testimone. Su di sĂ© ricade l’anima del Mamuthone o dell’Issohadore che da millenni compiono gli stessi immutati gesti. Al riparo dalla maschera però, l’uomo accresce la consapevolezza di sĂ©. Percorre le stesse vie che i suoi avi hanno conosciuto ma queste portano con sĂ© nuovi ricordi, memorie, emozioni e dolori che dietro la maschera trovano la forza di esprimersi per guarire. Il pubblico non coglie le infinite sfumature emotive che l’Issohadore o il Mamuthone vivono ma avverte, si pone in ascolto comunque. E il dialogo muto ha luogo, senza parole. Il 18 gennaio infine è il giorno di S. Antoneddu e la grande festa volge al termine accompagnata dalle ultime braci, gli ultimi bicchieri e gli ultimi dolci mangiati in compagnia. E dulcis in fundo…ecco i dolci della festa: su Popassinu nigheddu, nero come il Mamuthone, su Popassinu biancu come la maschera dell’Issohadore, su coccone ‘in mele o pane dei piccoli ed infine le delicatissime caschettas, frutto della maestria delle donne mamoiadine, a cui questo dolce ben si addice. Le donne sono l’elemento principale di questo rito che ne evoca la presenza attraverso alcuni elementi femminili del vestiario del Mamuthone e dell’Issohadore e a loro si rivolge quando l’Issohadore le cattura con “sa soha”. Sa soha infatti, è una fune di giunco che è parte integrante della figura de S’Issohadore. Essa è ripiegata in tanti cerchi e accompagna l’Issohadore durante la processione, pronta ad estendersi in tutta la sua lunghezza per raggiungere e catturare le giovani donne in segno di buon auspicio. Cala dall’alto, guidata dall’abilitĂ  dell’Issohadore e ricade, stringendosi intorno al corpo della donna con delicatezza, imprigionandola per il breve tempo di un augurio di fertilitĂ  e salute. E’ attraverso la donna che il tempo novello, il passaggio dal vecchio al nuovo, può compiersi.

 

 

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