CINEMA GREENWICH D’ESSAI – CAGLIARI – PROGRAMMAZIONE 15-28 NOVEMBRE Reviewed by admin on . PROGRAMMAZIONE CINEMA GREENWICH D'ESSAI 15-28 NOVEMBRE via sassari 6567 09123 Cagliari, Italy Cellulare     345 575 5855 Altri numeri     070 666859 SALA EST: L PROGRAMMAZIONE CINEMA GREENWICH D'ESSAI 15-28 NOVEMBRE via sassari 6567 09123 Cagliari, Italy Cellulare     345 575 5855 Altri numeri     070 666859 SALA EST: L Rating:

CINEMA GREENWICH D’ESSAI – CAGLIARI – PROGRAMMAZIONE 15-28 NOVEMBRE

PROGRAMMAZIONE CINEMA GREENWICH D’ESSAI
15-28 NOVEMBRE
via sassari 6567
09123 Cagliari, Italy
Cellulare     345 575 5855
Altri numeri     070 666859

SALA EST: La sposa promessa,Regia di Rama Burshtein
Dal lunedì al venerdì ore 19,15-21,30 sabato e domenica ore 17,00-19,15-21,30
SALA OVEST:fino a mercoledì 21 novembre Paris Manhattan, Regia di Sophie Lellouche
ore 19,15-21,30

SALA OVEST:da giovedì 22 novembre:E la chiamano estate,Regia di Paolo Franchi Dal lunedì al venerdì ore 19,15-21,30 sabato e domenica ore 17,00-19,15-21,30

LA SPOSA PROMESSA
Tel Aviv. Shira è promessa sposa ad un giovane della sua stessa età e della stessa estrazione sociale. Durante la festività del Purim, la sorella maggiore Esther, muore di parto mettendo al mondo il suo primogenito. Il matrimonio di Shira viene messo in secondo piano. A Yochay, il marito di Esther, viene proposto di unirsi ad una vedova belga, ma Yochay ritiene che sia troppo presto. Quando la suocera scopre che Yochay potrebbe lasciare il paese con il suo unico nipote, propone un’unione tra Shira e il vedovo. Shira dovrà dunque scegliere se ascoltare il suo cuore o seguire la volontà della famiglia…

E LA CHIAMANO ESTATE


Dino ha quarant’anni e un amore smisurato per Anna, che non riesce a toccare e a consumare in un amplesso. Anestesista di giorno, amante compulsivo di notte, cerca soddisfazione con prostitute e scambisti. La morte precoce del fratello e l’abbandono della madre lo hanno segnato profondamente e lo conducono alla dipendenza sessuale. Respinte le amorevoli cure e le morbide avance di Anna, Dino recupera e incontra gli ex della compagna, pregandoli di tornare con lei o di appagarne il piacere che lui le nega. Allontanato o guardato con compassione, l’uomo chiede ad Anna di trovare un amante appassionato. Anna, prima riluttante, finisce per cedere, concedendosi qualche notte di sesso con uno sconosciuto. Ma il sentimento che nutre per Dino è più potente della frustrazione e di qualsiasi piacere fisico. Tornerà a casa ma forse per lei e per Dino è davvero troppo tardi per ricominciare. Il terzo lungometraggio di Paolo Franchi si muove tra la canzone di Bruno Martino (“E la chiamano estate”), che titola il film, e quella di Rita Pavone (“Che mi importa del mondo”), che lo chiude con un rigore quasi geometrico. La voce di Bruno canta la perdita e l’assenza di chi abbiamo amato e non smettiamo di amare, i versi della Pavone dicono invece la vicinanza e la presenza del diletto, esemplificando i movimenti sentimentali ed estremi della coppia protagonista, chiusa in una camera ideale. Franchi tenta una narrazione per sentimenti, musica e immagini, realizzando un (melo)dramma elegante e gelido dentro un’apparente atemporalità. Se Nessuna qualità agli eroi affrontava con tratti altrettanto estetizzanti la sterilità dell’anima, E la chiamano estate sperimenta l’inappetenza sentimentale attraverso una coppia che mette in scena la non possedibilità dell’amore. Il Dino ‘anestetizzato’ di Jean-Marc Barr riempie il vuoto con l’esercizio compulsivo di una pratica sessuale, intuendo che fuori, nel mondo e in una camera bianca, c’è qualcosa di meglio, qualcuno da vivere. Ma tutta quella bellezza il protagonista l’ha abiurata, in un tempo lontano che ritorna dentro le fotografie e le testimonianze di chi lo ha conosciuto, scegliendo per sé l’abiezione e la dannazione. La spirale della vergogna procede allora dentro gironi sempre più stretti, in cui si abbandona e si dissolve l’Anna smarrita e muta di Isabella Ferrari, provando a intralciare con un sentimento impegnativo la discesa libera dell’amato. E nella caduta il protagonista trascina con sé anche il suo autore, inghiottito nelle acque nere dei titoli (di apertura). Se il cinema di Franchi ha l’indiscusso coraggio di andare oltre i canoni consolidati del realismo e oltre le ovvietà di troppo cinema italiano, ancora una volta la sensazione è che i suoi soggetti (sempre interessanti) finiscano per cedere al manierismo del racconto, sprecando i concetti evocati e le inquietudini innescate. Stilisticamente irrisolto, E la chiamano estate soffre in aggiunta di dialoghi automatici il cui problema è la (in)credibilità. La difficoltà di essere creduto traumatizza e compromette qualsiasi relazione con i destinatari del film, mai coinvolti o commossi, mai sfiorati o ‘toccati’. Come Dino, Paolo Franchi sembra abdicare la pratica dell’emozione, finendo travolto dalla sua filosofia, dalla sua idea di cinema autarchico, autistico,‘suicida’. Un cinema che non ha ‘francamente’ bisogno dello spettatore per essere.

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